sabato 19 gennaio 2013

Donne: come mai non ci sono? di Chiara Lupi


In tutti i miei ragionamenti parto da me stessa, giusto per confrontarmi con un’esperienza che conosco bene, e quindi dal mio essere madre, nello specifico di due adolescenti con gli ormoni impazziti. Elemento questo che aggiunge complessità alla complessità.

Se ci domandiamo come mai le donne non ci sono, come mai partecipano al mondo del lavoro in percentuale minore rispetto agli altri paesi europei, partiamo con il considerare che, soprattutto all’inizio della loro carriera guadagnano poco e, se ci sono figli, l’assenza della madre va compensata con un investimento economico non irrilevante.
Ecco che molte donne sono portate dalla famiglia a rinunciare o sono calate in un contesto culturale che le porta alla rinuncia. O quantomeno a un sottodimensionamento delle loro capacità.
Non per nulla il lavoro più ambito da parte dei mariti (e qui, sottolineo, mi riferisco alla mia generazione, e cioè alle donne nate tra la fine degli anni ’50 e la metà degli anni ’60), era il lavoro dell’insegnante, mezza giornata a scuola e tre mesi di vacanza d’estate.
 
Con questo voglio dire che molte donne oggi non sono ai vertici delle organizzazioni perché non ci hanno nemmeno provato, han fatto altro.
Quelle che dal canto loro han deciso di uscire allo scoperto, diciamo così, e di cimentarsi nella professione che hanno scelto non è che hanno vita facile, perché tutto ciò che riguarda il lavoro femminile porta con sé un elevato grado di complessità, perché ci si alza la mattina ma non si sa mai cosa può capitare…
Ed è proprio questa insicurezza che riguarda la gestione del quotidiano che fa percepire la donna agli occhi dell’organizzazione come un soggetto più debole. Non ci dobbiamo dimenticare che, ancora oggi, la nostra presenza in ufficio è subordinata a una serie davvero sconfinata di variabili: la baby sitter con il mal di pancia, lo sciopero dei mezzi che non le consente di arrivare, al fatto che se è la nonna a curare il bimbo deve essere in buona salute, a scuola non devono far sciopero e i bambini devono essere malati. I bambini, perché le mamme, è un dato di fatto, si ammalano molto meno.
Per questo dico, con ironia, che ci vorrebbe una moglie.
 
Il senso è che se c’è una famiglia e ci sono due persone che sono impegnate nella professione che hanno scelto, tutto il lavoro di assistenza, di cura, che guarda caso sono poi tutti sostantivi femminili, e ci sarà un perché, non deve essere responsabilità delle donne ma dovrebbe essere una responsabilità che travalica i generi e che tutti e due i genitori si accollano. In moltissimi casi è così, tant’è che nei miei scritti riporto storie positive in questo senso. Ma per molte di noi questa responsabilità non è stata affatto condivisa. Come dicevo prima, molte di noi si sono confrontate con uomini lontanissimi da questa idea di condivisione delle responsabilità.
In questo ragionamento sul lavoro femminile mi sono confrontata con tante donne che mi hanno raccontato la loro esperienza e mi sono voluta anche confrontare con tanti uomini e ho riportato le loro testimonianze.
Uomini che guidano le organizzazioni ma anche uomini più giovani.
Ma attenzione, non è di un ‘marito-moglie’, che abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di qualcuno che condivida il nostro percorso di crescita, personale e professionale. Molte di noi possono contare su questo tipo di sostegno. Molte altre no, altrimenti il dibattito sul lavoro femminile non sarebbe tanto acceso.
Anzi, secondo me, è proprio dell’aiuto degli uomini che abbiamo bisogno.
Proviamo allora a immaginare un futuro diverso, dove troveremo una donna o un uomo indifferentemente in ogni poltrona.
Ma proprio per questo il destino di tutti si potrà migliorare, perché in ogni ambito avremo la certezza di poter contare sul doppio sguardo, maschile e femminile.
Molto si è ipotizzato sul fatto che se in finanza ci fossero state più donne forse molti disastri si sarebbero potuti evitare.
Ma veniamo alla cronaca.
La riforma del lavoro comprende il tanto contestato congedo di paternità.
Qualche giornata obbligatoria per sfatare il mito che la maternità sia una faccenda che riguarda solo le donne.
Certo che la maternità riguarda le donne in modo prevalente ma da qualche parte bisogna cominciare.
Un po’ come le quote rosa, invise ai (alle) più, di fatto sono l’unico strumento per scardinare un sistema che tiene fuori le donne dalle stanze che contano.
E Il senso del congedo di paternità è proprio questo: gli ambiti in cui si fa da soli non hanno più senso. Abbiamo bisogno l’una dell’altro, abbiamo bisogno di ragionare in un’ottica di collaborazione e non di separazione.
Abbiamo bisogno di fidarci di più, a casa e in azienda.
 
Chiara Lupi
 

1 commento:

  1. Mi piace moltissimo questo post, che porta un intelligente e accurato raggionamento. Dalla mia esperienza e dal mio punto di vista direi che il problema è sopratutto CULTURALE: viviamo ancora in una società dove tutti (donne comprese) assumono che la cura della famiglia è solo responsabilità del sesso femminile. Leggevo un'intervista a un ministro donna in Svezia: 4 figli !! ma lei dichiarava soddisfatta che per quanto riguardava i figli dove non ci arrivava lei il marito (magistrato) era sempre presente e pronto a partire, sia nella gestione della casa che negli impegni quotidiani dei figli. Inoltre il supporto dello stato in servizi, infrastrutture ed altro alla famiglia era tale da consentire di non impegnare totalmente i nonni, che potrebbero avere qualche acciacco di salute. In Italia è già tanto se si fa un figlio, se non hai i nonni sei messa male, se un uomo usufruisce del congedo parentale è mal visto dai superiori, a volte anche se si assenta prima per una recita scolastica e salta una sacrosanta riunione... Noi dall'altro canto ci sentiamo ancora in colpa se non siamo perfette e omnipresenti, ma credo che siamo proprio NOI MAMME in primis a dover cominciare da casa nostra coi figli questo cambiamento educandoli in modo diverso, assegnando ai maschi più responsabilità domestiche quando l'età lo consente, parlando e rendendoli consapevoli della necessità di una vera condivisione delle responsabilità; incoraggiando le femmine a intraprendere percorsi "difficili o diversi" se lo vogliono, forse così tra un paio di generazioni vedremo finalmente più "magistrati" che sappiano condividere e supportare le mogli "ministro" e viceversa ovviamente e nessuno si sentirà zoppo nella coppia. Altrimenti rimarrà tutto a parole, come adesso.

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