In tutti i
miei ragionamenti parto da me stessa, giusto per confrontarmi con un’esperienza
che conosco bene, e quindi dal mio essere madre, nello specifico di due
adolescenti con gli ormoni impazziti. Elemento questo che aggiunge complessità
alla complessità.
Se ci
domandiamo come mai le donne non ci sono, come mai partecipano al mondo del
lavoro in percentuale minore rispetto agli altri paesi europei, partiamo con il
considerare che, soprattutto all’inizio della loro carriera guadagnano poco e,
se ci sono figli, l’assenza della madre va compensata con un investimento
economico non irrilevante.
Ecco che molte donne sono portate dalla famiglia a
rinunciare o sono calate in un contesto culturale che le porta alla rinuncia. O
quantomeno a un sottodimensionamento delle loro capacità.
Non per nulla il
lavoro più ambito da parte dei mariti (e qui, sottolineo, mi riferisco alla mia
generazione, e cioè alle donne nate tra la fine degli anni ’50 e la metà degli
anni ’60), era il lavoro dell’insegnante, mezza giornata a scuola e tre mesi di
vacanza d’estate.
Con questo
voglio dire che molte donne oggi non sono ai vertici delle organizzazioni
perché non ci hanno nemmeno provato, han fatto altro.
Quelle che
dal canto loro han deciso di uscire allo scoperto, diciamo così, e di
cimentarsi nella professione che hanno scelto non è che hanno vita facile,
perché tutto ciò
che riguarda il lavoro femminile porta con sé un elevato grado di complessità,
perché ci si alza la mattina ma non si sa mai cosa può capitare…
Ed è
proprio questa insicurezza che riguarda la gestione del quotidiano che fa
percepire la donna agli occhi dell’organizzazione come un soggetto più debole.
Non ci dobbiamo dimenticare che, ancora oggi, la nostra presenza in ufficio è
subordinata a una serie davvero sconfinata di variabili: la baby sitter con il
mal di pancia, lo sciopero dei mezzi che non le consente di arrivare, al fatto
che se è la nonna a curare il bimbo deve essere in buona salute, a scuola non
devono far sciopero e i bambini devono essere malati. I bambini, perché le
mamme, è un dato di fatto, si ammalano molto meno.
Per questo
dico, con ironia, che ci vorrebbe una moglie.
Il senso è che se c’è una
famiglia e ci sono due persone che sono impegnate nella professione che hanno
scelto, tutto il lavoro di assistenza, di cura, che guarda caso sono poi tutti
sostantivi femminili, e ci sarà un perché, non deve essere responsabilità delle
donne ma dovrebbe essere una responsabilità che travalica i generi e che tutti
e due i genitori si accollano. In moltissimi casi è così, tant’è che nei miei
scritti riporto storie positive in questo senso. Ma per molte di noi questa
responsabilità non è stata affatto condivisa. Come dicevo prima, molte di noi si
sono confrontate con uomini lontanissimi da questa idea di condivisione delle
responsabilità.
In questo
ragionamento sul lavoro femminile mi sono confrontata con tante donne che mi
hanno raccontato la loro esperienza e mi sono voluta anche confrontare con
tanti uomini e ho riportato le loro testimonianze.
Uomini che
guidano le organizzazioni ma anche uomini più giovani.
Ma
attenzione, non è di un ‘marito-moglie’, che abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno
di qualcuno che condivida il nostro percorso di crescita, personale e
professionale. Molte di noi possono contare su questo tipo di sostegno. Molte
altre no, altrimenti il dibattito sul lavoro femminile non sarebbe tanto
acceso.
Anzi,
secondo me, è proprio dell’aiuto degli uomini che abbiamo bisogno.
Proviamo
allora a immaginare un futuro diverso, dove troveremo una donna o un uomo
indifferentemente in ogni poltrona.
Ma proprio
per questo il destino di tutti si potrà migliorare, perché in ogni ambito
avremo la certezza di poter contare sul doppio sguardo, maschile e femminile.
Molto si è
ipotizzato sul fatto che se in finanza ci fossero state più donne forse molti
disastri si sarebbero potuti evitare.
Ma veniamo
alla cronaca.
La riforma
del lavoro comprende il tanto contestato congedo di paternità.
Qualche
giornata obbligatoria per sfatare il mito che la maternità sia una faccenda che
riguarda solo le donne.
Certo che
la maternità riguarda le donne in modo prevalente ma da qualche parte bisogna
cominciare.
Un po’ come
le quote rosa, invise ai (alle) più, di fatto sono l’unico strumento per
scardinare un sistema che tiene fuori le donne dalle stanze che contano.
E Il senso
del congedo di paternità è proprio questo: gli ambiti in cui si fa da soli non
hanno più senso. Abbiamo bisogno l’una dell’altro, abbiamo bisogno di ragionare
in un’ottica di collaborazione e non di separazione.
Abbiamo
bisogno di fidarci di più, a casa e in azienda.
Chiara Lupi
Mi piace moltissimo questo post, che porta un intelligente e accurato raggionamento. Dalla mia esperienza e dal mio punto di vista direi che il problema è sopratutto CULTURALE: viviamo ancora in una società dove tutti (donne comprese) assumono che la cura della famiglia è solo responsabilità del sesso femminile. Leggevo un'intervista a un ministro donna in Svezia: 4 figli !! ma lei dichiarava soddisfatta che per quanto riguardava i figli dove non ci arrivava lei il marito (magistrato) era sempre presente e pronto a partire, sia nella gestione della casa che negli impegni quotidiani dei figli. Inoltre il supporto dello stato in servizi, infrastrutture ed altro alla famiglia era tale da consentire di non impegnare totalmente i nonni, che potrebbero avere qualche acciacco di salute. In Italia è già tanto se si fa un figlio, se non hai i nonni sei messa male, se un uomo usufruisce del congedo parentale è mal visto dai superiori, a volte anche se si assenta prima per una recita scolastica e salta una sacrosanta riunione... Noi dall'altro canto ci sentiamo ancora in colpa se non siamo perfette e omnipresenti, ma credo che siamo proprio NOI MAMME in primis a dover cominciare da casa nostra coi figli questo cambiamento educandoli in modo diverso, assegnando ai maschi più responsabilità domestiche quando l'età lo consente, parlando e rendendoli consapevoli della necessità di una vera condivisione delle responsabilità; incoraggiando le femmine a intraprendere percorsi "difficili o diversi" se lo vogliono, forse così tra un paio di generazioni vedremo finalmente più "magistrati" che sappiano condividere e supportare le mogli "ministro" e viceversa ovviamente e nessuno si sentirà zoppo nella coppia. Altrimenti rimarrà tutto a parole, come adesso.
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